Beatrice lavora come content manager ("qualunque cosa voglia dire") per una società dì comunicazioni. Ha superato i quarant'anni senza trovare un uomo e ora vuole un figlio. Si rivolge a una banca del seme qualificata; incerta su quale "razza" di sperma scegliere, decide di "rimanere sul Caucaso". Corpo a corpo comincia così: la storia ironica e amara di una donna di oggi, benestante e privilegiata. Arriva il piccolo Arturo e Bea non vuole occuparsene, un po' perché è depressa, un po' perché è egoista. Certo non ha peli sulla lingua quando parla del "Corpo", suo figlio. L'allattamento la fa sentire una mammifera, gli strilli di Arturo le fanno perdere il senno. Confessa tutto questo con allegra franchezza. Poi trova la tata perfetta, Elsa, eritrea, e tutto sembra mettersi a posto. Qui, però, la storia cambia registro, e a volte il tono comico scivola malamente nel dolore. Elsa, anche se esperta con il bambino e brava in casa, non appartiene in nessun modo al mondo di Bea. Cattolica e credente, non supporta l'ateismo di Bea. E lei invece rimane sorda quando la tragedia colpisce Elsa e nel canale di Sicilia affonda la nave "dove c'erano degli eritrei". Il quadro ironico, purtroppo, fa fatica a contenere quel naufragio.