Mi sono accostata a questo libro libera da aspettative, con la mente curiosa e spalancata, senza leggere altro che la quarta di copertina e lasciandomi accompagnare, vocabolo dopo vocabolo, nel quadro onirico e atemporale che le parole, in un susseguirsi misurato ponderato e ossessivamente calcolato e studiato, disegnano. Sì perché è da dei quadri lirici in lento movimento che questa storia inizia, un racconto con gli orli ben cuciti e ricamati di una fiaba di adozioni e di magie e di apparizioni da bosco incantato. Ma quando i quadri, grazie al potere che l’autrice conferisce al suo linguaggio, iniziano a dilatarsi e quindi ad intrecciarsi, la fiaba trasmuta in un viaggio articolato e complesso attraverso il potere della natura, il potere delle donne prime custodi del mistero della vita e dei mondi, il potere degli uomini ordinari figli della terra e della magia dell’una e degli altri quando vivono in intimo equilibrio e sinergia. Un viaggio simbolico ed evocativo attraverso l’arte della natura e l’arte dell’uomo che, nella sua triplice forma figurativa musicale e poetico-narrativa, si fa anch’essa porta tra i mondi, nella fitta rete di connessioni che regola l’universo dove la vita di ciascun essere vivente, animale e vegetale, incastonata nella trama è una goccia piccola e fragile ma iridescente e determinante per l’equilibrio del tutto. Un inno bucolicheggiante, a tratti esasperante, a quella genuinità propria degli animi semplici inconsapevoli del loro peso sul tessuto del mondo.
Una storia particolare che non brilla comunque per originalità, per certi aspetti anche prevedibile ma non stonata. Un racconto intimo ed introspettivo che richiede molta calma e costanza in quanto bisogna attraversare “omelie di ghiaccio fresco” ed “albe croccanti come biscotti”, “cieli più trasparenti dell’amore” e “sguardi bizantini” con la leggerezza di una libellula ma con l’attenzione di un segugio per giungere ad un punto di svolta, ovvero lì dove il fantasy rivela il suo volto fino a quel momento nascosto tra le pieghe di una improbabile realtà. Ma ancora una volta la veste narrativa si svincola dai confini del genere ed il lirismo del linguaggio e delle immagini naviga in equilibrio -un po’ precario a dire il vero- tra onirico reale e visioni.
Ma come tutti gli eccessi anche di troppo lirismo si può morire quando la narrazione si appesantisce di un susseguirsi di passaggi ridondanti e ripetitivi, descrizioni spiegazioni ed incisi fin troppo particolareggiati e densi, troppo densi, di iperboliche similitudini e ardite metafore. Un esercizio stilistico fine a sé stesso che nel momento decisivo del racconto sembra quasi voler distogliere l’attenzione del lettore da uno scenario caotico e povero di immagini e di materiale narrativo.
La Barbery non manca di lanciare, di pagina in pagina tra un lirismo e una iperbole, i suoi j’accuse dall’animalista all’ambientalista fino all’immancabile indice anticlericale puntato contro quella Chiesa temporale del potere e dei pregiudizi madre di superstizioni e di abusi, mentre sorride benevola al bigottismo paesano delle donne e a quella fede cristiana che stringe la mano alle credenze pagane degli elementi e delle stagioni.
Ancora una volta quindi ci troviamo di fronte all’eterna guerra tra i buoni e i cattivi –eh sì, li chiama proprio così- tra l’equilibrio e il disequilibrio, tra l’armonia e la disarmonia, la magia del bene contro la magia del male. Impossibile affrontare questi temi, nati con l’umanità in quel Giardino nella notte del Tempo, senza scadere nel banale, nello scontato, nel sentimentalismo: la Barbery in parte ce la fa, nonostante non sia immune da palesi prestiti e contaminazioni -impossibile, ad esempio, non pensare agli Albi di Heitz, all’Avalon della Zimmer Bradley, ai mondi paralleli, con la loro teoria di animali fantastici e bambini salvifici dalla moralità fin troppo adulta, della Narnia di Lewis e delle Oscure Materie di Pullman- e con notevole capacità visionaria e determinazione sfida un genere che negli ultimi quindici anni è stato ormai fin troppo abusato e violentato, guadagnandosi una menzione speciale per la fotografia.