2004. Una città del Nordest. Silvano Contin risuola scarpe e duplica chiavi, vita monotona e ripetitiva. Quasi 50enne, figlio unico, genitori morti, faccia funerea, quasi calvo e pingue, vive solo e mangia cibi pronti, si ubriaca il sabato, niente cellulare o svaghi o fede, cattivo ergastolo del dolore. Quindici anni prima girava soddisfatto in Mercedes come rappresentante di vini, innamorato della moglie Clara e del figlio Enrico. Furono uccisi, casuali ostaggi di una rapina. Fuggito il complice con la refurtiva, il loro assassino marcisce in carcere, Raffaello Beggiato, cella numero 5, seconda sezione. Occhi chiari, 45enne, non crede ma va a messa, esagera con valium e droghe procurate col denaro materno, patisce vessazioni e corruzione, buono ergastolo della pena. Quando gli diagnosticano un tumore mortale, chiede la grazia. La procedura prevede che implori perdono e il parere delle parti offese. Non ci conta e ha ragione: negativo. Il suo vero obiettivo è la sospensione pena per malattia, ottenere soldi e passaporto dal socio, scomparire in Brasile, morire libero. Tutto si complica perché Contin esce dal buio evocato dalla moglie morente e il commissario Valiani indaga. Massimo Carlotto (1956) pubblicò nel 2004 un bellissimo romanzo sulla pena e le varie ingiustizie che vi ruotano intorno, con personaggi teatrali non seriali, carnefice e vittima entrambi “ergastolani”, portati a teatro dalla fine del 2012 per un paio di stagioni da Scarpati e Casadio diretti da Alessandro Gassmann. Lo scrittore si documentò molto su norme e procedure e intervistò uomini in condizioni e relazioni analoghe, ispirandosi a una pluralità di storie vere. La prima persona passa dall’uno all’altro, con tutti i “canoni” del noir (se esistono) e qualcosa in più, l’ossessione della morte (da cui il titolo). Il libro è intelligente, intrattiene il cervello, informa sui carceri, impone qualche riflessione a chi ha l’incarico di approvare o attuare (non usare) le leggi, in particolare quelle sulla giustizia. I barlumi di follia esplodono quando le diverse richieste di grazia e di perdono fanno cortocircuito (le citazioni iniziali sono di Berruti e Ferlosio). Ovvio che si mangi precotto, senza cura; e che si ascolti solo la memoria dei Pooh. Allora il ministro competente era Castelli, a pag. 33. Come sempre in Carlotto, i politici non fanno dignitosa figura.