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Così Bollywood si ispira alla provincia veneta

Autore: Carlo Pizzati
Testata: La Stampa
Data: 6 gennaio 2016
URL: http://www.lastampa.it/2016/01/06/spettacoli/cos-bollywood-si-ispira-alla-provincia-veneta-7ijaDMsGK6TqBMwYUCMhlI/pagina.html

Può sembrare buffo immaginarsi i personaggi padovani di Silvano Contin, borghese al di sopra di ogni sospetto, e Raffaello Beggiato, criminale di medio livello, che si tramutano in due indiani della periferia di Mumbai con nomi come Raghu Pratap Singh e Liak Mohammed Tungrekar. Ma la città del Veneto prealpino ha qualcosa in comune con la terra desolata di Badlapur, stazione del treno a un’ora da Mumbai e titolo di un thriller di successo emerso quest’anno da Bollywood. Il noir indiano Badlapur è ispirato al giallo del padovano Massimo Carlotto, L’oscura immensità della morte, storia di crimine, vendetta e redenzione. Ma è anche una spietata critica a un sistema giudiziario che prevede il parere di vittime o parenti delle vittime per la domanda di grazia. È un tema caldo trattato in maniera affascinante anche da Stephen King nel recente Chi perde paga (Sperling & Kupfer).

C’è da sorprendersi se un regista di successo di Bollywood scova nell’hinterland padovano personaggi che s’adattano così bene alla Nuova India? No, perché la struttura sociale da era post-industriale, le differenze di classe o di casta, la fragilità etica, ma soprattutto la disperazione e rabbia umane di fronte alla violenza sono universali. E dopotutto, come dice Salman Rushdie, gli indiani guardando gli italiani si sentono «di fronte a uno specchio dove possono ammirarsi come in una traduzione».

SENTIMENTI UNIVERSALI Se Silvano/Raghu trova la forza di vendicarsi dell’omicidio di moglie e figlio soltanto 15 anni dopo il fattaccio è proprio perché è stato stuzzicato da tribunale e volontari a concedere un impossibile perdono e a far riemergere un lutto mai superato. Così è nell’India del regista Sriram Raghavan, come nell’Italia veneta di Massimo Carlotto, o nell’America in crisi di Stephen King. Ecco, magari nella sceneggiatura hanno dovuto limare il ruolo intermediario del prete cattolico, e trasformare la volontaria con giro di perle e villetta in una funzionaria di un’Ong. Ma è così sorprendente che un rapinatore omicida come Tungrekar si comporti con la stessa astuzia affamata, ma poi anche con la grandezza espiativa di un furbo Beggiato?

Le differenze ci sono. Ma solo nei dettagli. Invece di mangiarsi la solita pasta, la famiglia nei ricordi del vedovo indiano si spazzola un contemporaneo «chili con carne» messicano, prodotto d’una globalizzazione alimentare che unisce le culture.

Invece di parlare un italiano fin troppo ripulito per il contesto padovano come nel romanzo di Carlotto, sentirete dialogare in quel famoso hinglish da classe media, dove si miscela hindi e inglese. I poliziotti maneschi e sovrappeso sono gli stessi. La borghesia ben vestita con auto non troppo costose, ma nuove, ha colori un po’ più sgargianti nella versione Bollywood, piuttosto che nell’ambientazione veneta. Ed è pur sempre India, quindi spunta una specie di danza del ventre quando una prostituta cerca di sedurre il vedovo vendicativo con un ritmo bhangra-funky che unisce seduzione e rabbia.

UN PURGATORIO METAFORICO Il film è girato bene, con ottimo montaggio, fotografia calda e precisa che dipinge questo purgatorio metaforico, nella suburra industriale tra Mumbai e Pune, sfondo di una storia che incrocia una rabbia legittima a un male senza senso, dove l’odio fermenta fino a snaturare in una crudeltà precisa e fredda. Con finale a sorpresa.

Così, mentre esattamente 30 anni fa un regista teatrale di successo come Peter Brook prendeva in prestito il poema epico indiano Mahabharata per farne una grandiosa produzione teatrale, e successivamente in Europa si scoprivano i divertimenti danzanti del cinema indiano, oggi invece la nuova Bollywood viene ad attingere per le sue storie anche tra gli angoli affaticati della nostra decadente Europa. Che in materia di riflessione sugli errori della contemporaneità, siano essi del sistema della giustizia o dell’ingiustizia sociale, è il caso di dirlo, ne ha da vendere.