Uno stabile chic di rue de Grenelle raccontato dagli sguardi incrociati di una portinaia coltissima e di una ragazzina ricca con tendenze suicide. E poi ironia caustica, dissertazioni filosofiche e uno sperticato amore per la cultura giapponese. Questi gli elementi di un romanzo che, giocando con gli stereotipi, cita Proust, Eminem e Husserl, e sta da mesi clamorosamente in vetta alle classifiche di vendita francesi. Edito da Gallimard, a ottobre in italiano per e/o, L’élégance du hérisson (L’eleganza dell’istrice), in attesa di essere adattato per il grande schermo ha rivoluzionato la vita della sua autrice, insegnante formata all’elitaria Ecole Normale Supérieure. A poche settimane da un insperato anno sabbatico che la porterà dritta in Giappone, Muriel Barbery racconta così il suo fortunatissimo secondo romanzo.
Ha scelto due protagoniste insolite. Spiazzante è la piccola Paloma,
implacabile davanti alle ipocrisie della sua famiglia “gauche caviar”,
ma ancor di più lo è René, portinaia dalle raffinatezze segrete.
«Mi appassionava l’idea di una portinaia riservata, colta, che rovesciasse
gli stereotipi e generasse forti effetti comici. E questo personaggio dallo
sguardo acutissimo mi permetteva la critica sociale. Non mi interessava
la favola di una portinaia simpatica e di una bambina adorabile. Volevo
affrontare in modo leggero aspetti tragici e assurdi della vita. E indagare
l’incontro tra persone sole e distanti, che finiscono per trovarsi».
Cosa le unisce veramente?
«Entrambe si chiedono dove sia la bellezza. La ragazzina è convinta che
si nasconda nelle cose fragili, caduche. Per questo le viene l’idea di cercarla
nel movimento, inafferrabile per definizione. E la trova. Magari durante
una partita di rugby, nell’azione ipnotica di un giocatore maori».
La sua portinaia invece è una profonda conoscitrice di Tolstoj, ma anche
di filosofia. E pure la ragazzina, a modo suo, esprime una forte
propensione per la speculazione astratta.
«Io ho intrapreso lunghi, noiosissimi, studi filosofici. Mi aspettavo che
mi aiutassero a comprendere meglio quanto mi circondava: non è andata
così. È stata invece la letteratura a insegnarmi più cose. A me interessava
capire come la filosofia potesse entrare nella vita, illuminarla.
Da qui mi è nata la voglia di ancorarla a una trama romanzesca: per
darle più senso, più corpo, e renderla, magari, anche divertente».
Nel suo romanzo le citazioni colte si accompagnano a riferimenti ai
fumetti o al cinema, anche quello commerciale.
«Come le mie protagoniste, anch’io mi chiedo: cosa mi piace, cosa mi
emoziona? Un buon romanzo, ma anche i manga geniali di Taniguchi.
O un film di intrattenimento fatto come si deve. Perché privarsene? Non
ho paura dell’eclettismo».